Irrompe la Pasqua!

Irrompe la Pasqua!

E’ il giorno dei macigni che rotolano via dall’imboccatura dei sepolcri. E’ l’intreccio di annunci di liberazione, portati da donne ansimanti dopo lunghe corse sull’erba. E’ l’incontro di compagni trafelati sulla strada polverosa. E’ il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più e che corre di bocca in bocca ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. E’ la gioia delle apparizioni del Risorto che scatena abbracci nel cenacolo. E’ la festa degli ex-delusi della vita, nel cui cuore all’improvviso dilaga la speranza.

Forse, guardandoci intorno potremmo trovare mille motivi di pessimismo.  Forse  vacillerà anche la nostra speranza se continueremo a parlare di Teresa che, a trentacinque anni, sta morendo di cancro. O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello. O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più. O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi, ma io voglio giocarmi, fino all’ultima, tutte le carte dell’incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.

Non possiamo credere che migliaia di Cristiani che, ancora oggi, vengono uccisi solo perché cristiani, diano la loro vita per niente! Non possiamo credere che tanti nostri missionari in giro per il mondo portano il loro messaggio di amore curando i malati, costruendo case e ospedali, dando libertà e dignità agli oppressi, testimoniando la verità e la libertà ai quattro angoli della terra, lo facciano in nome di nessuno.

E allora diamo anche noi sfogo alla nostra gioia. La Pasqua frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del «terzo giorno». Da quel versante le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate, lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo.

 

Che sia anche la festa in cui il traboccamento della comunione venga a lambire le sponde della nostra isola solitaria.

 

La Redazione

6 aprile 2015, giuseppe-saponaro